Sono passati due giorni dal bombardamento israeliano che ha ucciso Hassan Nasrallah. Oltre al leader di Hezbollah – il cui corpo è stato recuperato intatto, secondo i media israeliani sarebbero morto soffocato – l’Idf, ovvero le forze armate israeliane, riferiscono di altre 20 capi uccisi dell’organizzazione libanese. Nella notte tra sabato e domenica è stato eliminato un altro alto funzionario di Hezbollah, Nabil Qaouk, in un attacco aereo a Dahiyeh nella parte sud della capitale libanese Beirut.
Nella giornata di domenica le forze armate israeliane hanno condotto attacchi contro Siria (probabilmente per impedire il trasferimento di armi a Hezbollah), Libano (vicino Sidone e a Dahiyeh) e Yemen. Nelle scorse settimane gli Houthi, sostenuti dall’Iran, avevano lanciato tre missili balistici contro Israele. I raid israeliani sono parte di una “operazione aerea su larga scala”, ha dichiarato dall’Idf, puntavano a “centrali elettriche e un porto marittimo, che vengono utilizzati per importare petrolio”. Le forze armate israeliane hanno detto di essere “determinate a continuare a operare a qualsiasi distanza, vicina o lontana, contro tutte le minacce ai cittadini dello Stato di Israele”, sottolineando che l’attacco agli Houthi in Yemen è avvenuto a 1.800 chilometri dallo Stato di Israele.
C’è attesa per la reazione di Hezbollah, ma anche dell’Iran, che del gruppo è sostenitore e finanziatore da oltre 40 anni, e degli altri suoi proxy regionali. Che però sembrano attualmente sotto scacco, presi di sorpresa dall’uccisione di Nasrallah. In tutto questo, prolifera con maggiore facilità l’ipotesi che sia stato qualcuno a Teheran, nel governo o tra i Guardiani della rivoluzione, a vendere il leader di Hezbollah a Israele nel contesto di una feroce lotta interna: un’ipotesi che solo a evocarla non fa che alimentare la psicosi in Iran e tra i proxy. Intanto, l’iraniano Ahmadi Vahidi, ex comandante dei Guardiani della rivoluzione per l’estero e membro del Consiglio per il discernimento, organo presieduto dall’ayatollah Ali Khamenei, dichiara che “ogni comandante di Hezbollah ucciso nei recenti raid di Israele è stato rimpiazzato da altre figure e, al momento, nessuna posizione nell’organigramma è rimasto vuota”. Un modo per rispondere anche alla comunicazione israeliana che venerdì ha messo in circolazione l’immagine del vertici dell’organizzazione libanese con la scritta “eliminato” accanto ai loro volti. John Kirby, portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, ha affermato che dopo che Israele ha “spazzato via” la struttura di comando di Hezbollah, il gruppo lavorerà per ricostruirla rapidamente. “Cercheranno di riprendersi. Stiamo osservando cosa faranno per cercare di riempire questo vuoto di leadership”, ha detto Kirby parlando al programma State of the Union della Cnn. La ricostruzione di Hezbollah, la nomina di un successore di Nasrallah, l’istituzione di una struttura di comando e la creazione di una rete di comunicazioni sicura sarebbero in questo momento le priorità, secondo quanto ricostruito dal New York Times.
L’attacco ha sorpreso Teheran e creato divisioni nel potere iraniano, scrive lo stesso giornale americano che ricorda la “stretta alleanza” e la “profonda amicizia” che legava il leader di Hezbollah e l’ayatollah Khamenei. Si sono aperte delle crepe all’interno del governo iraniano su come rispondere all’omicidio, con i conservatori che sostengono una risposta energica e i moderati, guidati dal nuovo presidente iraniano Masoud Pezeshkian, che chiedono moderazione”, si legge. Il cosiddetto Asse della resistenza, sostenuto dall’Iran, va dagli Hezbollah libanesi ai palestinesi di Hamas, dagli Houthi dello Yemen a vari gruppi armati sciiti in Iraq, fino in Siria. “Non esiteremo ad aiutare la resistenza a qualunque livello sia necessario”, ha garantito Mohammad Baqer Qalibaf, presidente del Parlamento iraniano. L’Iran sosterrà Hezbollah “fino alla liberazione della Palestina e di Gerusalemme”, ha dichiarato il generale di brigata iraniano Esmail Qaani, comandante della Forza Quds, unità d’élite dei Guardiani della rivoluzione.
Rimane un interrogativo, al di là dei proclami, che riguarda le capacità iraniane. Un conflitto diretto con Israele sembra escluso, considerato che i due Paesi non confinano e che l’unica ipotesi, quella del scontro nel dominio aereo, vede l’Iran indietro di quattro generazioni. C’è poi il precedente di aprile in cui Israele ha dimostrato di essere in grado di contenere la minaccia a fronte di un’elevata intensità di fuoco iraniana. L’altra strada è un attacco da moltiplici fronti da coordinare con i proxy; ma l’uccisione di Nasrallah, che pur era un grande amico dell’ayatollah Khamenei, potrebbe aver messo in discussione i concetti di Asse della resistenza e guerra per procura che da decenni Teheran coltiva contro Israele.
Come questa situazione si rifletterà sul sostegno iraniano alla Russia impegnata nell’invasione dell’Ucraina sarà probabilmente il tema principale degli incontri che avrà lunedì a Teheran il primo ministro russo Mikhail Mishustin. Anche per capire che ruolo potrà avere la Russia nello scacchiere mediorientale, dopo la condanna della morte di Nasrallah, anche se ufficialmente l’incontro riguarda l’implementazione di progetti congiunti su larga scala nel settore dei trasporti, dell’energia, dell’industria, dell’agricoltura e di altri settori.
Per ora sembra essersi mossa soltanto la Resistenza islamica in Iraq, che ha rivendicato il lancio di un drone a Eilat, dove alle prime ore di questa mattina, intorno alle 5.30 locali, hanno suonato le sirene di allarme. L’esercito israeliano ha dichiarato che una nave lanciamissili ha intercettato il drone fuori dallo spazio aereo israeliano, nell’area del Mar Rosso.
Israele sembra non aver ancora deciso su un’eventuale operazione di terra in Libano. Tuttavia, sembrano essere iniziati oggi alcuni movimenti al confine. Potrebbero essere operazioni su piccola scala per eliminare le posizioni di Hezbollah, ha riportato l’emittente statunitense Abc News. Inevitabilmente, nel caso di un attacco contro Israele, quest’ultimo dovrebbe “anticipare i suoi piani e potrebbe anche dover invadere più in profondità”, come riportato dal Jerusalem Post. Al momento, stando allo stesso giornale israeliano, Israele preferisce vedere se il futuro leader di Hezbollah “adotterà un approccio più pragmatico per porre fine al conflitto”, anche se non mancano dubbi.
Il premier libanese Najib Mikati ha dichiarato che il Libano “non ha altra scelta che quella diplomatica”. Dal premier è poi arrivato l’appello all’unità del Paese. Parlando all’inizio della riunione di governo dopo l’annuncio della morte di Nasrallah ha dichiarato: “Vi imploro oggi di mettere da parte le nostre differenze politiche, le posizioni divergenti e le diverse opzioni, e di riunirci tutti intorno a ciò che preserva e protegge la nostra patria”. Indicazioni nella stessa direzione sono arrivate anche dalle forze armate libanese, che in un comunicato hanno invocato “unità” in un “periodo critico e delicato”. Per il Libano sembra un momento cruciale, un bivio tra due direzioni opposte: proseguire nel progetto di Nasrallah o cercare uno Stato inclusivo che superi il settarismo.
L’amministrazione statunitense guidata da Joe Biden è in prima linea nell’evitare una guerra totale. Kirby ha dichiarato che “il sostegno degli Stati Uniti alla sicurezza di Israele è incrollabile e questo non cambierà”; ha ribadito il diritto dell’alleato a difendersi “da attacchi quotidiani”; ma ha anche ricordando la necessità di non colpire i civili e le loro abitazioni avvertendo che una guerra totale con Hezbollah o l’Iran non garantirà a Israele di far rientrare in sicurezza la popolazione nelle proprie case nel Nord del Paese. Sul fronte politico opposto all’amministrazione Biden, si registra la linea dei repubblicani su cui il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu sembra scommettere in vista delle elezioni di novembre. Il candidato Donald Trump ancora non si è espresso sulla vicenda ma Mike Johnson, speaker della Camera, e altri leader repubblicani hanno diffuso una dichiarazione invitando l’amministrazione a “porre fine alle sue controproducenti richieste di cessate il fuoco e alla sua continua campagna di pressione diplomatica contro Israele” definendo l’uccisione di Nasrallah “un importante passo avanti per il Medio Oriente”. Per Jared Kushner, genero e consigliere dell’ex presidente, sarebbe “il giorno più importante in Medio Oriente dopo la firma degli Accordi di Abramo”, di cui fu regista. E ancora, invitando Israele a finire il lavoro respingendo la richiesta di tregua dell’amministrazione Biden: ”Israele non ha l’opzione di fare marcia indietro”.
Intanto, Amir Saeid Iravani, rappresentante permanente dell’Iran presso le Nazioni Unite, ha chiesto una riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per “condannare le azioni di Israele nei termini più forti possibili”. In una lettera inviata ieri al presidente del Consiglio, il diplomatico ha esortato i membri a “intraprendere un’azione immediata e decisiva per fermare l’aggressione in corso da parte di Israele” e impedire che “spinga l’intera regione verso una catastrofe totale”. Difficile però, considerato il potere di veto degli Stati Uniti e il contesto generale che vede un altro membro (la Russia) impegnato in un altro conflitto (in Ucraina), che si possa raggiungere un qualsiasi accordo al Palazzo di vetro.
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