- Materia: diritto delle armi e di pubblica sicurezza
- Ambito: porto di coltello tipo “card knife”
- Normative di riferimento: art. 4 legge 18 aprile 1975 n. 110
La Corte di appello di Reggio Calabria ha confermato l’affermazione di responsabilità pronunciata dal Tribunale di Palmi, in data 18 luglio 2023, nei confronti di Tizio con riforma del trattamento sanzionatorio, concedendo la sospensione condizionale della pena.
Il primo Giudice aveva condannato l’imputato alla pena di mesi quattro di arresto ed euro 670 di ammenda, per il reato di cui all’art. 4 legge n. 110 del 1975, per aver portato, fuori dalla propria abitazione, senza giustificato motivo, una lama appuntita e affilata in metallo, di centimetri 9 annessa ad un pezzo di plastica di colore nero di forma rettangolare che, chiudendosi, avvolgeva la lama facendone un coltello della misura complessiva di 14,5 centimetri.
Tizio decide quindi di proporre ricorso avverso la sentenza che lo condannava, adducendo le motivazioni come di seguito riportate.
I motivi del ricorso
Vediamo adesso insieme i motivi su cui Tizio struttura il proprio ricorso.
Con i motivi di appello si era evidenziato che lo strumento in sequestro era un coltello cosiddetto “card knife”, cioè una tessera in plastica rigida, identica ad un bancomat per struttura e dimensioni, la cui parte centrale amovibile assume le fattezze di un coltellino, strumento di solito utilizzato durante escursioni, camping e attività boschive, caccia, pesca.
Tale oggetto era custodito nel portamonete insieme ai documenti e veniva rinvenuto, durante un controllo, mentre Tizio era alla guida di un’auto in un pomeriggio tardo, in un centro cittadino.
La sentenza di secondo grado evidenzia, poi, che l’imputato ha trasportato l’arma senza le autorizzazioni necessarie e senza giustificato motivo, come desunto dal comportamento reticente ma anche dalla consapevolezza di portare un’arma fuori dall’abitazione, a prescindere dal proposito di volerla utilizzare, tenuto conto che Tizio è stato fermato, in orario serale, in centro cittadino, lontano da zone adibite a camping e che ha reso una giustificazione circa coltello rinvenuto, individuata in una mera dimenticanza, versione reputata non credibile per le particolari modalità di custodia, essendo l’arma occultata all’interno del portamonete, oggetto personale di uso frequente e quotidiano.
La difesa deduce che, essendo stata qualificata l’arma come impropria, è necessario ai fini della configurabilità del reato, non soltanto l’ingiustificato motivo del porto, ma anche l’esame di altre circostanze di fatto in punto di destinazione dell’oggetto, onde ritenere che questa sia utilizzabile per l’offesa alla persona.
Il rigetto del ricorso
Vi diciamo subito che il ricorso presentato da Tizio viene rigettato. Vediamo quindi cosa hanno stabilito i giudici di Piazza Cavour.
Prima di tutto, per i giudici sono da qualificare armi tutti gli strumenti atti ad offendere e che, sono, naturalmente, destinati a recare un’offesa o un danno ad altro soggetto. All’interno della categoria si distingue tra le armi bianche e quelle da fuoco.
Le armi improprie, a differenza di quelle proprie, possono essere qualificate come strumenti idonei a offendere, ma non hanno, in via esclusiva e per destinazione naturale, quello scopo, né sono state ideate e realizzate per quella finalità.
Si possono definire improprie, allora, le armi che, per loro natura, non sono destinate all’offesa della persona, pur potendo, tuttavia, nuocere, se utilizzate in maniera pericolosa (cacciaviti, martelli, asce, trapani, catene, tubi di ferro) dunque qualsiasi strumento che, pur non avendo come naturale destinazione l’offesa, può essere utilizzato anche con quel fine.
Sono quindi da considerarsi armi improprie quelle che, pur avendo una specifica diversa destinazione, possono tuttavia servire all’offesa personale, secondo le indicazioni date dall’art. 4 legge n. 110 del 1975.
Volendo fare una differenziazione sostanziale, si può affermare come delle armi proprie, in genere, è vietata la detenzione non previamente denunciata all’autorità di pubblica sicurezza; delle armi improprie è vietato solo il porto, non anche la detenzione.
Quello che i giudici stabiliscono, quindi, è che la Corte d’Appello aveva ben applicato la normativa di riferimento, annoverando il coltello di tipo “card knife” come arma impropria, e quindi applicando la sanzione prevista dall’art. 4 comma 2 legge 18 aprile 1975.
Tra le altre cose la condanna confermata in Cassazione trova la propria ragione d’essere proprio perché Tizio non era nemmeno stato in grado di addurre un motivo in grado di giustificare il porto del card knife all’interno del proprio portafogli, al momento del controllo.
Per i giudici quindi a nulla rileva il fatto che per configurare il porto di arma impropria serva dimostrare che le circostanze di tempo e luogo possano far propendere per un potenziale uso offensivo, da parte del soggetto, dell’arma stessa. Bensì basta il solo porto fuori dalla propria abitazione senza il giustificato motivo, che sappiamo dover esser legale, attuale, oggettivamente dimostrabile al momento del controllo.
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