L’aglio è diventato blu, il pane è duro come un sasso, lo yogurt è scaduto da una settimana e dal sacchetto del riso escono le farfalline. Si poteva evitare di far finire nella spazzatura questi alimenti? Certamente sì. Oggi, domenica 29 settembre, è la quinta Giornata internazionale (istituita dalle Nazioni Unite) che sensibilizza sul tema delle perdite e sprechi alimentari. Forse il giorno giusto per dare un’occhiata al nostro frigorifero e alla dispensa, pensare a cosa buttiamo e cercare di cambiare abitudini di acquisto, di conservazione e di consumo.
Le regole anti-spreco sono riassumibili così: cercare di comprare solo quello di cui si ha bisogno e non accumulare alimenti in frigorifero; usare sempre prima quello che si ha già anche provando a sostituire degli ingredienti e riutilizzando gli avanzi, imparare la differenza fra il “da consumare entro” e il “preferibilmente entro”.
Buttiamo via troppo (questa è la cattiva notizia), ma tanti degli alimenti che non possono essere venduti o che sono rimasti da banchetti e mense diventano anche una risorsa per alcune realtà cittadine che si occupano di dare una seconda vita alla merce in eccedenza (questa è la buona notizia) aiutando chi ha bisogno. È il caso di Cucine Popolari, gestita dall’associazione di volontariato Civibo: “Lo spreco alimentare è una delle preoccupazioni che ci coinvolgono, ma sopravviviamo anche grazie a questo. Bisogna avere rispetto per il cibo e rispetto per il lavoro che c’è dietro al cibo – mi dice Roberto Morgantini, creatore del più noto sistema di mense circolari in città – ed è per questo che lavoriamo sodo per arrivare a produrre 600 pasti al giorno che vanno nelle quattro Cucine Popolari per un totale all’anno di 15 mila pasti”. Fra i maggiori generatori di “avanzi” riutilizzabili perché porzionati ci sono le mense scolastiche: “I bambini non mangiano il pane e non mangiano molta frutta: noi recuperiamo quello che non viene consumato”.
Come misurare lo spreco alimentare: la app “Sprecometro”
Secondo l’Osservatorio internazionale Waste Watcher dedicato allo spreco alimentare nei Paesi del G7 lo spreco alimentare domestico in Italia è pari a 2,132 milioni di tonnellate, un incremento del 32,6% in soli due anni. Assumendo come peso medio del pasto 500g stimato dal Food Waste Index Report 2024 dell’UNEP, lo spreco alimentare domestico italiano si traduce in 4,26 miliardi di pasti sprecati ogni anno. Considerando l’aumento della popolazione italiana in condizioni di povertà alimentare, 6 milioni pari al 10% degli italiani, Caritas, Istat) con i 4,26 miliardi di pasti sprecati si potrebbe dar da mangiare a ben 3,89 milioni di persone, più della metà dei poveri alimentari. “Scandaloso che di fronte alla povertà alimentare in aumento nel mondo e in Italia si sprechino tanti pasti, questi numeri toccano le nostre coscienze. Se questo trend si mantiene sarà impossibile per l’Italia raggiungere l’Obiettivo ONU di sviluppo sostenibile 12.3 che impone di dimezzare lo spreco domestico entro il 2030. Ma anche a livello globale, considerando i trend dei Paesi del G7 analizzati nel report WWI, sarà molto difficile se non impossibile rispettare, nella scadenza, l’Obiettivo ONU. Per questo rinnoviamo con forza l’appello ai Ministri dell’Agricoltura dei Paesi del G7 di affrontare il tema sprechi, adottando politiche pubbliche e private di prevenzione dello spreco domestico, interventi mirati a ridurre la povertà alimentare e programmi di educazione alimentare a tutti i livelli” ha detto il direttore scientifico di Waste Watcher International e professore all’Unibo, Andrea Segrè.
Il cibo che buttiamo e il grande paradosso della povertà
“Il mondo produce abbastanza cibo per sfamare tutti – si legge in un comunicato della FAO – eppure milioni di persone soffrono di fame e malnutrizione. Le perdite e gli sprechi alimentari aggravano questo problema riducendo la quantità di cibo disponibile per il consumo, contribuendo così all’insicurezza alimentare”.
“Domenica 29 settembre è la 5^ Giornata mondiale di Consapevolezza degli sprechi e perdite alimentari. Sprechiamo 1262 miliardi di pasti sul pianeta, e in Italia ben 4,26 miliardi di pasti all’anno! La nuova rilevazione dell’Osservatorio Waste Watcher International registra un’impennata nella tendenza a gettare il cibo da parte delle famiglie italiane. L’appello di Andrea Segrè, direttore scientifico Waste Watcher, ai Ministri dell’Agricoltura dei Paesi G7. (Waste Watcher e Andrea Segrè)
Dove finisce il cibo in eccedenza e meno bello: le associazioni di Bologna ne fanno buon uso
Bologna però, ci dicono, è particolarmente virtuosa in quanto a recupero delle eccedenze alimentari. Rispetto a un principio di economia circolare è nato un progetto che si chiama: “Non si butta via niente” e che parte proprio da un mantra tipico delle nonne (che avevano fatto la guerra e quindi di spreco ne sapevano qualcosa). Si tratta di una campagna promossa dal Comune di Bologna in collaborazione con il Gruppo Hera e Last Minute Market, società spin off dell’Università di Bologna per il recupero delle eccedenze. L’iniziativa ha lo scopo di promuovere e diffondere sul territorio iniziative di prevenzione degli sprechi e di recupero delle eccedenze alimentari, oltre a mettere a sistema e valorizzare le azioni di donazione già attive. Da quest’anno il Comune di Bologna ha deciso di promuovere l’iniziativa coinvolgendo una rete di realtà del territorio che già da diversi mesi è attiva e impegnata nel progetto, in grado di recuperare oltre 340 tonnellate di prodotti alimentari. I primi risultati sono stati presentati in occasione della Giornata internazionale della Consapevolezza sugli Sprechi e le Perdite Alimentari che ricorre il 29 settembre.
Come funziona “Non si butta via niente”: i primi dati
L’iniziativa ha come obiettivo il recupero strutturato delle eccedenze alimentari a favore di enti no profit del territorio che si occupano di supportare persone in condizioni di difficoltà. I donatori sono i diversi attori della filiera alimentare, come esercizi commerciali, mense aziendali, aziende di produzione che, aderendo al progetto, si impegnano a gestire correttamente gli alimenti e i beni donabili, in particolare per quanto riguarda corretto stato di conservazione, trasporto, deposito e utilizzo degli alimenti. Gli enti beneficiari utilizzano i prodotti recuperati per l’attività di assistenza alimentare a favore di persone in difficoltà sul territorio. Si tratta di uno degli esempi più evidenti di economia circolare: si previene lo spreco, si riduce la produzione di rifiuti, di anidride carbonica e di acqua, e nello stesso tempo si supportano persone che stanno attraversando un momento di difficoltà. Le realtà coinvolte nell’iniziativa a Bologna possono garantire in un anno oltre 340 tonnellate di prodotti alimentari recuperati, un valore che si traduce in circa 315.000 pasti potenzialmente derivabili da queste attività di economia circolare. In termini di risparmio di risorse, il progetto ha evitato di immettere in atmosfera l’equivalente di 680.000 chili di anidride carbonica (corrispondente a quella prodotta da 6.583 viaggi in auto da Milano a Napoli). In particolare, sono recuperati prodotti freschi e freschissimi, quali ad esempio ortofrutticoli freschi (quasi due terzi del totale), prodotti alimentari sfusi e confezionati, pasti cotti pronti per essere consumati, gastronomia, panificati e prodotti da forno, oltre a prodotti a lunga conservazione.
A Bologna si allungano le file per un pasto
Quali sono le realtà coinvolte. I prodotti alimentari e i pasti pronti vengono donati da diverse aziende e realtà del territorio, tra le quali Caab, Bologna FC 1909, Elior, i Portici Hotel, Aeroporto di Bologna, Lagardère Travel, i negozi di Vecchia Malga, Chef Express–Gruppo Cremonini, le farmacie aderenti a Federfarma, alcuni supermercati Despar e GAMS Ristorazione. Gli enti no profit beneficiari coinvolti sono numerosi, tra questi Civbo-Cucine Popolari, Opera di Padre Marella, Amici d Piazza Grande, Open Group e l’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII. Grazie all’impegno degli operatori volontari, queste realtà svolgono un ruolo cruciale nella riuscita del progetto, recuperando direttamente le eccedenze e garantendo anche l’assistenza quotidiana alle persone in difficoltà.
Bottiglie mezze piene al ristorante: c’è lo chef che porta l’acqua al canile
In media i clienti dei ristoranti lasciano sulle tavole una trentina di litri di acqua a settimana: lo racconta uno chef napoletano che gestisce un locale nel bresciano e che ha avuto l’idea di un gesto simbolico contro questo enorme spreco. Forse non ci facciamo caso. Ma molto spesso, quando andiamo al ristorante, non finiamo l’acqua delle bottiglie. I ristoratori, quando le raccolgono, sono costretti a buttarla via per rispettare le norme igieniche.
Ciro di Maio, chef di origini napoletane che ha aperto il suo ristorante “San Ciro” a Brescia, non riusciva ad accettare questo spreco. Armato di carta e penna, si è messo a segnare ogni giorno quanta acqua sprecava. E ha scoperto che con il suo flusso di clientela in media 35 litri a settimana finivano nel lavandino, ossia quasi 150 al mese. Coincidenza, a poche centinaia di metri dal suo ristorante sorge il Canile Rifugio, gestito dall’associazione Sos Randagi, da più di vent’anni impegnata nell’accoglienza dei trovatelli, con l’obiettivo di farli vivere serenamente e di trovare loro famiglia fedeli e responsabili. Ciro conosceva la struttura: vive con Ciruzzo Junior, un bulldog francese che per lui è quasi un figlio. Lo chef ha così bussato alle porte del canile e ha proposto un semplice gesto. Una o due volte a settimana passa di lì, portando l’acqua lasciata sui tavoli dai suoi clienti, nel frattempo raccolta in tanichette da cinque litri.
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