diSilvia M.C. Senette
Botta e risposta sulla gestione di Capanna Punta Penìa sulla Marmolada: «La montagna non è un luna park, serve più responsabilità»
«AAA: cercasi gestore Capanna Penìa. Della serie: il mio gestore di rifugio è un po’ diverso». Usa l’emoticon che strizza l’occhiolino, Fabio Bristot per tutti “Rufus”, ma non risparmia bordate a Carlo Budel: il rifugista che, dopo sette anni, ha appena lasciato Punta Penia e la Marmolada per dedicarsi al suo nuovo bed and breakfast nel bellunese. Rufus, a sua volta di Belluno, classe 1968, è un esperto di montagna e le Dolomiti sono il suo habitat naturale. In virtù di una storia che parte da una laurea in filosofia con il massimo dei voti e comprende voci come «manovale, operaio, disgaggiatore, insegnate ed educatore», il membro della direzione nazionale del soccorso alpino e speleologico, nonché volontario del Cai, ha una venerazione per le vette locali.
Lo sfogo
Il curriculum c’è tutto e, anche per questo, Bristot sa di parlare con cognizione di causa quando affida ai social uno sfogo che non passa inosservato. «Tra le caratteristiche più importanti di una persona che gestisce un rifugio, ho sempre apprezzato la capacità di accogliere unita a quella di proteggere, la capacità della narrazione legata ai luoghi e alla storia degli uomini che hanno interagito con quelli luoghi: alpinisti o escursionisti che fossero, senza alcuna differenza – scrive sul suo profilo Facebook -. Ho sempre apprezzato anche la sobrietà misurata delle parole e delle azioni, il saper offrire e trasferire emozioni che possono scaturire dall’ambiente circostante, ma anche la pari determinazione nel spiegare le insidie della montagna senza sconti; pericoli che, in realtà, molto più spesso siamo noi stessi a generare. Di un gestore ho sempre apprezzato l’onestà intellettuale, il senso del limite e lo scarso bisogno di essere al centro dell’attenzione: è la montagna in quanto tale a esserlo, non chi gestisce una struttura».
Un ritratto che anche i follower più appassionati di Carlo Budel sanno non corrispondere a quello della “Sentinella delle Dolomiti” che, anzi, si è sempre distinta per personalità, carisma, verve e reazioni accese alle intemperanze tanto del meteo quanto degli avventori meno educati. A levare qualsiasi dubbio che l’invettiva sia proprio rivolta a Budel per “fargli” l’esame di coscienza, è il titolo del post di Bristot: «AAA: cercasi gestore Capanna Penìa. Della serie: il mio gestore di rifugio è un po’ diverso». E la replica non si è fatta attendere. Con poche parole lapidarie, Budel rispedisce al mittente le critiche diffuse proprio via social, dove si è ormai ritagliato di diritto un ruolo da influencer: «Facile criticare dal divano. Ho fatto del mio meglio: me ne vado felice per quanto è stato – scrive l’ormai ex rifugista -. Non dimenticherò mai le sette stagioni a Capanna Punta Penìa, fra momenti meravigliosi e difficoltà. Al mio posto arriverà un giovane gestore al quale auguro il meglio».
I parametri
«Ho solo declinato con grande serenità alcuni parametri che ritengo fondamentali per chi gestisce una struttura ricettiva in montagna – si schermisce ora, divertito, l’autore del post al vetriolo -. Se qualcuno si è sentito chiamato in causa non è un mio problema. In fondo, ho solo espresso, senza offese di sorta, un modello di gestore che è poi anche un modello di montagna. Gestire un rifugio significa essere consapevoli e responsabili, offrendo esempi e modelli. Se poi un gestore amplifica il proprio fare con i social e ha un seguito notevole, gli esempi e i modelli devono essere solidi ed autentici». L’esperto di soccorso alpino dettaglia ancora meglio il suo pensiero: «Essere consapevoli equivale a dominare, cioè avere gli strumenti corretti per parlare di montagna con cognizione di causa, oltre l’aspetto bucolico e quello ludico; la responsabilità equivale invece a utilizzare quegli strumenti per fare informazione e prevenzione reale, oltre cioè il sermone acchiappa follower».
«Non potrei fare diversamente»
Bristot individua la responsabilità «non dello strumento social in quanto tale, ma in chi lo utilizza. La montagna è severa e implica un approccio che deve essere prudente e rispettoso». Il riferimento, che però lo accomuna a Budel, è all’approssimazione con sui spesso ci si avvicina alla montagna e che sovente è causa di infortuni anche rovinosi. «Non potrei fare diversamente, come appartenete al soccorso alpino che ha come espressa missione anche quella di fare prevenzione attiva per contrarre incidenti che possono avere esiti fatali o invalidanti». La prevenzione prima di tutto, insomma. «In fondo è una forma di educazione e di civiltà, e in montagna se ne vede sempre meno: le vette sono diventate una sorta di grande luna-park in quota che mal sopporta le regole non scritte che da sempre ci sono. Le derive sono sempre maggiori e più pericolose, come provano gli aumenti esponenziali degli interventi del soccorso alpino».
Il rifugista doc
La questione del “rifugista doc” non è però archiviata con un post. «Un gestore dovrebbe essere se stesso, prima di tutto; quindi avere la capacità di accogliere e proteggere, ma anche la sobrietà misurata delle parole e delle azioni. Deve saper trasferire emozioni ispirate dall’ambiente circostante, ma avere pari determinazione nello spiegare le insidie della montagna senza sconti. Infine sarebbero apprezzabili l’onestà intellettuale e il senso del limite, oltre che la coerenza che diventa gesto quotidiano, esempio».
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link