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Aumenta il costo della vita e la persone rinunciano a curarsi #finsubito prestito immediato


Ugo Bellesi

di Ugo Bellesi

Già nei primi mesi dell’anno si era registrato un aumento del costo della vita a Macerata superiore ad altre città a causa dell’inflazione. Purtroppo il mese di agosto ha confermato questo indice negativo.

L’Unione nazionale consumatori, in base ai dati forniti dall’Istat che ha fatto il monitoraggio delle città nel mese di agosto, ha reso noto che a Macerata i prezzi sono aumentati il doppio rispetto alla media regionale (che è stata di +1%). Infatti Macerata ha fatto registrare un aumento di +2,1% che ha comportato per le famiglie un aumento della spesa media annuale pari a 423 euro. E figura al 2° posto in Italia insieme a Siena. Tutto questo è dovuto all’aumento dei generi alimentari, ai maggiori costi per i servizi sanitari forniti da privati, al mercato libero subentrato nei contratti per gas ed elettricità.

Il Rapporto Italia 2024 ci dice che, con gli aumenti delle spese correnti, il 54,4% degli italiani non riesce ad arrivare a fine mese e così attingono ai risparmi (36,8%) o si fanno aiutare dai genitori (36,8%), oppure rateizzano il pagamento degli acquisti (42,7%) o infine rinunciano alle spese mediche (28,3%). Ma quello che più preoccupa è che stanno entrando in crisi molte nostre imprese. Tutto a causa del deterioramento del credito, come testimonia l’outlook Abi-Cerved, confermando che nel 2024 è salito al 3,5% rispetto al 2,4% del 2023. Ma dovrebbe scendere a 3,2% nel 2025. D’altra parte anche Banca d’Italia segnala un aumento dei tassi di deterioramento delle società non finanziarie con un valore del 2,43% per il 2023 (aumentato del 2,18% rispetto al 2022). Secondo Abi-Cerved «tensioni geopolitiche e condizioni finanziarie restrittive offrono un quadro complesso per le imprese italiane».

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L’ospedale di Macerata

Per i semplici cittadini i problemi più gravi sono causati dalla sanità. Infatti nel 2023 quasi 4,5 milioni di italiani hanno rinunciato a curarsi soprattutto per le lunghe liste di attesa. Le Marche sono al terzo posto tra le regioni italiane per questo fenomeno. L’Istat in un recente rapporto ha documentato che 4,5 milioni di italiani hanno rinunciato a visite o accertamenti sanitari per problemi economici, per le lunghe liste di attesa o per le difficoltà di accesso. Soprattutto sono proprio le liste di attesa a creare una specie di disaffezione nei confronti del sistema sanitario. Il che finisce per favorire il privato. Il recente report dell’Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) ci dice che le Marche sono la seconda regione (dopo la Sicilia) per tempi di attesa per i codici gialli. Nel 2022 gli accessi ai codici gialli nei Pronto soccorso delle Marche sono stati 107.911. I minuti trascorsi tra l’arrivo e la dismissione in media sono stati 531,7 (quasi nove ore). Per i codici verdi gli accessi sono stati 280.533 con una media di minuti 261,4. Ben 75 società scientifiche dei clinici ospedalieri ed universitari italiani hanno lanciato un appello al Governo sottolineando che nel 2024 il finanziamento del Fondo sanitario nazionale è stato fissato al 6,4% del Pil e si teme un’ulteriore diminuzione al 6,3% nel 2025 e 20268 fino a scendere al 6,2% nel 2027. E’ stato anche sottolineato che mancano almeno 100mila posti letto di degenza ordinaria e 12mila quelli di terapia intensiva. C’è poi la carenza del personale sanitario tanto più che entro il 2025 si pensioneranno 29mila medici e 21mila infermieri. Si è messo anche in evidenza che le cure fondamentali dovrebbero essere assicurate in tutta Italia ed invece 12 regioni su 20 non garantiscono neppure la minima sufficienza.

Ciò che preoccupa maggiormente in questo periodo è comunque la non felice situazione delle imprese della nostra provincia e della regione. La crisi serpeggiante si riflette sulle esportazioni il cui crollo (pari a -41,3%) è stato soprattutto determinato dal settore della farmaceutica (-82,3%) e dal comparto delle imbarcazioni (-48,1%), ma anche altri settori non brillano. Così la moda vede le vendite all’estero in flessione del 5,7% (equivalenti a 72 milioni di euro in meno di incassi), il tessile riduce le vendite del 7,9%, pelli e calzature hanno una flessione del 12,7%. Il solo abbigliamento ha fatto registrare un +2,4%.

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Un ristorante vuoto

Secondo uno studio di Confcommercio-Format-Research anche la redditività di negozi, bar e ristoranti è messa in crisi da abusivismo commerciale, contraffazioni e taccheggio che sottraggono agli onesti commercianti tra i 22 e i 23 miliardi. Infatti si calcola che nel 2023 un consumatore su quattro ha acquistato un prodotto contraffatto o un servizio illegale. E’ stato stimato che nel 2023 nelle regioni del Centro il 24,3% dei consumatori ha acquistato prodotti o servizi illegali. Nel 2023 l’illegalità ha sottratto alle imprese 38,6 miliardi di euro mettendo a rischio 268mila posti di lavoro. Sempre secondo lo studio di Confcommercio l’abusivismo commerciale costa 10,4 miliardi: nella ristorazione è pari a 7,5 miliardi; la contraffazione sottrae 4,8 miliardi; il taccheggio 5,2 miliardi. Gli imprenditori del terziario percepiscono in aumento il fenomeno dell’usura per il 24,4%, seguito da furti (23,5%), aggressioni e violenze (21,3%), atti di vandalismo (21,1%). Nel Centro Italia il 38,8% degli imprenditori del terziario temono soprattutto i furti, le rapine, atti vandalici e aggressioni. Invece in tutta Italia questi timori riguardano soltanto il 33,9% degli imprenditori.

Per quanto riguarda la provincia di Macerata purtroppo è da registrare il fenomeno dello “spopolamento imprenditoriale”. Infatti a fine 2023 risultavano iscritte 34.467 imprese e cioè 5mila in meno rispetto a 10 anni prima. Le Marche oggi vantano 152.956 imprese avendone perdute oltre 22mila. Questo è quanto risulta da una indagine del Sole 24 su elaborazione di Infocamere. La flessione ha riguardato le coltivazioni agricole e gli allevamenti nonchè le chiusure nel settore commercio. Ma la crisi maggiore si è registrata nella manifattura.

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Di conseguenza il lavoro è diventato sempre più povero e precario. In proposito la responsabile dell’Area mercato e lavoro dell’Uil, Antonella Vitale, ha dichiarato: «La quota di contratti a tempo indeterminato, sul totale di quelli attivati, è nettamente sotto la media del Paese: appena uno su dieci. La nostra regione è 14° per incidenza di contratti a tempo indeterminato sui nuovi rapporti di lavoro». Nel 2023 i contratti più utilizzati sono stati quelli a termine con 88.946 assunzioni (18.453 nella nostra provincia, cioè oltre il triplo dei contratti a tempo indeterminato). Vengono poi i contratti intermittenti con 39.687 assunzioni (8.218 in provincia di Macerata). Ci sono anche i contratti stagionali con 28.063 assunti (di cui 5.566 nel Maceratese). La retribuzione annuale media supera di poco le 20mila euro. Ma c’è da sottolineare che le donne e i ragazzi sotto i 30 anni hanno una retribuzione del 30% in meno degli uomini. Sono queste in buona sostanza le ragioni per cui molti giovani preferiscono trasferirsi in regioni “più ricche” o addirittura all’estero.

Ma ci sono anche altri dati preoccupanti per la nostra economia. Li ha forniti recentemente l’Eban (Ente bilaterale dell’artigianato). Risulta infatti che nel 2023 hanno chiuso 1.119 botteghe e piccole aziende, cioè il 2,7% dell’intero settore artigianale. Quindi siamo in una situazione congiunturale, sostiene Eban, che trova le Marche distanti di circa 20 punti, in termini di Pil per ciascun abitante, rispetto alle regioni del Centro Nord. Un ridotto impegno delle imprese a competere sul mercato si è evidenziato dagli scarsi investimenti registrati per agganciare la transizione digitale. I prestiti alle piccole imprese delle Marche nel settembre 2023 sono risultati in diminuzione del 9,4% rispetto al 2022. La variazione tendenziale è superiore alla media nazionale (-7,6%) e porta le Marche al terz’ultimo posto in Italia.

Non ci consola la constatazione che la maggior parte delle imprese italiane siano in ritardo negli aggiornamenti. Infatti solo una su quattro ha un piano strategico di innovazione, come evidenzia un “Rapporto sull’intelligenza artificiale in Italia” realizzato dal Centro di ricerca in leadership dell’Università Guido Carli. L’analisi di oltre 500 imprese ha messo in evidenza come solo il 22% di esse dispone al momento di un piano di sviluppo sull’intelligenza artificiale.





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